Ho sempre pensato che ogni giorno vada vissuto con l’entusiasmo del primo e l’intensità dell’ultimo, con la curiosità di un bimbo che si affaccia sorridente al mondo, eppure senza pigrizia o rinvii, evitando l’alibi del “tanto domani”, non mettendo mai testa e cuore in saldo.
Col tempo, l’approccio del “primo giorno” ha iniziato a procurarmi ansia da prestazione, mentre il pensiero dell’ultimo dì ha pian piano insinuato in me il seme della precarietà, troppo a fondo per poter vivere leggermente e insieme proficuamente…
Negli ultimi mesi, la svolta: un po’ di macigni in testa, qualche delusione più o meno metabolizzata, la speranza che ogni cosa alla fine possa trovare una giusta soluzione.
Ho iniziato a vivere ogni alba come se fosse il mio “secondo” giorno, col gusto del nuovo depurato però dall’incognita dello sradicamento.
E mentre ogni giorno resta vivo e intenso nel suo sopraggiungere subito “dopo-il-primo”, mi sfiora il sospetto che possa essere anche il penultimo.
Se qualcosa resta fuori oggi, avrò tempo domani, non oltre, certo, ma avrò almeno domani per terminare, rifinire, perfezionare, salutare, o semplicemente… per ricominciare…