giovedì 29 gennaio 2009

Autoritratto

Mi chiamano tutti Lidia e ho così finito per credere di avere il mio nome.

Credo con intensità variabile di essere me stessa anche quando sospetto di essere qualcun'altra. Credo comunque sempre di credere. Penso di pensare e talvolta penso di pensare di pensare. Cerco di essere cortese con me stessa, anche se talvolta non mi sopporto e mi tolgo sovente il saluto.

Quando mi incontro per strada mi riconosco quasi sempre ed il più delle volte mi fermo a scambiare due chiacchiere con me, sino a quando i miei discorsi mi vengono a noia e allora mi mollo promettendomi però di telefonarmi, il che però non faccio mai, anche perché so che troverei la linea occupata.

Le barzellette che mi racconto non mi fanno più ridere perché le so già tutte. Quando non sono d'accordo con i miei discorsi mi mando a quel paese e poi mi parlo male di me, ma quasi mai mi prendo sul serio. Mi calunnio, ma non mi credo, né mi querelo. E alla fine torno a frequentarmi con lieve sospettoso distacco.

Sono viva, ma non l'ho fatto apposta, anche se un po' ne approfitto.
Talvolta mi diverto, altre volte no. In ogni buon conto, cerco sempre di non annoiarmi, cosa che suggerisco di fare a tutti, poiché annoiarsi non è cosa poi tanto brutta, ma è di certo tanto tanto noiosa.....

sabato 3 gennaio 2009

Piove sul Terrone

Una mattina come tante altre.
Con la differenza che andare in ufficio di sabato non è mai cosa leggera. Il 3 gennaio poi…
Prendo il 62 semi-denso di folli maniaci dello shopping di inizio saldi, mi becco la solita secchiata d’acqua dal cielo romano impietoso e plumbeo, litigo un po’ con l’ombrello nuovo, sgomito, scendo, inciampo in qualche sampietrino sbilenco, giungo in piazza Capranica, accompagnata da un paio di starnuti premonitori. Cebion, penso immediatamente: un po’ di vitamina C è quello che ci vuole… Accidenti ma quando la smetterà con tutta questa pioggia?
Con un clic richiudo l’ombrellino hi-tech ed entro nella farmacia semi-deserta.
Scorgo nei pressi del bancone una signora bionda appariscente con due labbra a canotto, grandi quanto i due cagnolini taglia mini dallo sguardo infreddolito, infilati nella borsetta di pelle lucida. Mi avvicino al bancone per verificare eventuale apertura di una seconda cassa, quando una voce stridula e vischiosa, caldamente stonata, mi chiede: MA LEI LAVORA QUI? Perplessa mi giro intorno: mi sa che ce l’ha proprio con me. ..PREGO?!?
E CERTO, QUESTI TERRONI FANNO SEMPRE FINTA DI NON CAPIRE! VEDE QUESTO CARTELLO? SA LEGGERE? DEVE METTERSI IN FILA. AFRICANI INCIVILI MELADUCATI… MA PROBABILMENTE NON SA NEANCHE LEGGERE…
Mentre le mie orecchie registrano ciò che non avrebbero mai voluto sentire, mi parte immediatamente un guizzo nel polpaccio destro seguito da una contrazione disarticolata del polso sinistro, libero dal manico della borsa. Mo’ la meno, penso. La prendo e l’appendo alle vetrinette settecentesche. L’istinto che emerge. L’istinto che sintetizza, risolve, agisce, mette un punto fermo. Via i fronzoli, via i convenevoli, via i litigi, via le parole inutili e circostanziali. Via l’ironia, via tutto. La meno. La meno di brutto. Un bel pugno sul labbro a canotto e le faccio sgonfiare mento e superbia.
Inspiro. Espiro. Accenno ad un sorriso, che si ferma appuntito solo a metà.
MA LEI SIGNORA INVECE NON LAVORA QUI, VERO? ALTRIMENTI PER QUELL’ERPES AL LABBRO INFERIORE AVREBBE GIA’ PROVVEDUTO… PREGO FACCIA PURE. E’ EVIDENTE CHE HA PIU’ URGENZA DI ME… E POI NON E’ MIA ABITUDINE MANCARE DI RISPETTO ALLE PERSONE ANZIANE.
Lascio cadere le ultime parole in un silenzio surreale.
Mi giro lentamente sui tacchi, recupero l’ombrello turchese, rivolgo uno sguardo pietoso ai miseri cani-topo, fulmino per un istante la farmacista consenziente e servile e scandisco a testa alta un garbato saluto, aggiungendo in coda, a voce ferma: TORNO IN UN ALTRO MOMENTO. VEDO CHE AVETE GIA’ MOLTE PATOLOGIE DA CURARE…
Apro la porta cigolante e una ventata di aria fresca mi investe allegramente.
Per questa volta mi tengo il raffreddore. Libertà…